In Consulenza, Finanza, Patrimoniale

Nel 2016 le start up del fintech hanno raccolto dal mondo del venture capital 12,7 miliardi di dollari in 836 operazioni. In Europa, il 2016 è stato l’anno di maggior attività, con 1,2 miliardi di dollari raccolti per 179 deal, vale a dire +11% sull’anno precedente e +124% negli ultimi 5 anni.

Questo successo non è casuale: gli investitori sanno che sempre più consumatori preferiscono rivolgersi ai nuovi player, che mettono a disposizione del mercato un vasto assortimento di prodotti innovativi plug-and-play, multicanale e soluzioni bancarie facili da usare tra cui portafogli digitali, gestione patrimoniale, prestito e pagamento peer-to-peer. Tanto che le banche, anche se tradizionalmente considerate pioniere dell’automazione dei processi, oggi rischiano di restare indietro nel panorama dei servizi finanziari, sempre più digitalizzato e orientato verso un approccio customer-centred.La disintermediazione in atto dell’attività bancaria tradizionale da parte della finanza tecnologica sta costringendo le banche a reinventare i loro servizi, andare incontro alle aspettative del consumatore e avvicinarsi, in qualche modo, al Fintech. Infatti, secondo l’Osservatorio Digital Finance del Politecnico di Milano, ben il 60% delle startup fintech internazionali fornisce servizi di banking (lending, conti bancari, pagamenti), il 19% si occupa di servizi di investimento, il 5% di servizi assicurativi ed il restante 16% di altri servizi (marketing, big data, security, ecc.).
Non solo: la categoria banking ha ricevuto il 73% dei 26 miliardi di finanziamenti arrivati complessivamente al settore, e di questa cifra il 60% è dedicato al Lending&Financing (circa 15 miliardi).

Insomma, il futuro del banking tradizionale – che arranca tra margini sempre più risicati e requisiti di capitale sempre più stringenti – passa per la finanza tecnologica: è il modo di fare banca, il modo di servire i clienti, il funzionamento dei propri processi operativi che richiede un ripensamento in chiave digitale… pena l’uscita dal mercato. Sì, perché il 95% di queste società si rivolge direttamente al consumatore o a un’azienda – a un cliente finale, insomma – ponendosi come una concreta alternativa alla banca tradizionale, e solo il 5% si pone come un fornitore o un collaboratore degli istituti bancari. Ma questi ultimi non devono disperare: già oggi, una start up su tre ha avviato almeno una partnership con una banca con vantaggi reciproci – ovvero, per la banca la capacità di innovarsi più rapidamente testando nuove strade con investimenti limitati, per la start up la possibilità di operare sfruttando la rete fisica sul territorio della banca o le sue grandi moli di dati in maniera nativa.

Ma saranno in grado, le banche, che hanno sempre gestito i loro servizi end-to-end, integrando esperienza, processi e prodotti, di adattarsi al cambiamento?
Per realizzare queste collaborazioni, devono essere disposte a condividere con i partner digitali i loro dati e affiliarsi a piattaforme su cui non hanno il controllo diretto della relazione con i clienti o della customer experience.

Una cosa è certa: se la convergenza in atto tra fintech e banche tradizionali dovesse continuare, come pensano BorsadelCredito.it e P101, porterebbe a una fruttuosa e positiva condivisione della tecnologia, dei talenti e del know-how. Quindi, le banche tradizionali e le società di servizi finanziari che sapranno sfruttare l’opportunità e creare partnership con i nuovi player non soccomberanno sotto il peso dell’innovazione fintech, anzi, ne potranno beneficiare: grazie a loro riusciranno a colmare le lacune critiche nel loro portafoglio, raggiungere i segmenti di pubblico meno serviti, e fornire al cliente un’esperienza migliore, a costi ridotti.

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